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Il Fiume Po

Il Po, il più gran fiume italiano per lunghezza e portata, costituisce, insieme ai suoi numerosi affluenti l’unico e vero sistema fluviale della penisola. L’ecosistema del Grande Fiume è fondamentale per tutta l’Italia settentrionale. Il Po fornisce acqua per uso civile, industriale e agricolo. La sua potenza viene sfruttata per produrre energia elettrica. Tra gli ambienti più interessanti sotto il profilo ornitologico ci sono gli spiaggioni fluviali. Si tratta di una tipologia ambientale dalle caratteristiche peculiari, contraddistinta da una morfologia fortemente dinamica tanto a livello infra-annuale, in relazione alle variazioni del livello idrometrico, quanto nel medio-lungo termine, per il continuo, duplice processo di erosione-sedimentazione.

La Via Postumia

La Via Postumia è una via consolare romana fatta costruire nel 148 a.C. dal console romano Postumio Albino nei territori della Gallia Cisalpina, l’odierna pianura padana, per scopi prevalentemente militari. Congiungeva per via terra i due principali porti romani del nord Italia, Genova e Aquileia, grande centro nevralgico dell’Impero Romano, sede di un grosso porto fluviale accessibile dal Mare Adriatico.Per trovare i due successivi porti più importanti si doveva scendere a Roma dal lato tirrenico e a Ravenna dal lato adriatico.

Sabbioneta

Sabbioneta, città di fondazione (urbs condita), edificata tra il 1556 ed il 1591 per volere di Vespasiano Gonzaga, è collocata al centro della pianura Padana. Come piccolo stato indipendente, Sabbioneta grazie alla sua avanzata struttura difensiva, si presentava principalmente come una fortezza. Le due piazze sono collocate in posizione asimmetrica e decentrata e costituiscono i due più importanti nuclei della città attorno ai quali sorgono gli edifici più rappresentativi.

Comune di Casalmaggiore

I primi documenti certi in cui si trovi citazione di Casalmaggiore sono collocabili intorno all’anno Mille, quando la città era dominata dal casato Estense e il nucleo più antico dell’abitato, il cosiddetto Castelvecchio, era circondato da mura. La cerchia difensiva, abbastanza modesta, venne poi progressivamente eliminata o inglobata nell’abitato; l’unico residuo delle fortificazioni è rappresentato dal Torrione che si trova a ridosso dell’argine, in Piazza San Martino. Databile al XV secolo, esso costituiva probabilmente una torre d’ingresso. Il possesso della città fu sempre particolarmente ambito, soprattutto per la sua posizione strategica sul Po. Dopo due secoli di prevalente influenza cremonese e alcune parentesi trecentesche di dominio gonzaghesco, nel XV secolo iniziò un lungo periodo durante il quale si alternarono nel dominio di Casalmaggiore la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano. Occupato il ducato di Milano dagli spagnoli, anche Casalmaggiore ne seguì le sorti. Ceduta più volte in feudo dal governo spagnolo a questo o quel personaggio, riuscì tuttavia a conservare una certa autonomia, garantita dalla qualifica di “terra separata”. All’inizio del XVIII secolo Casalmaggiore passò agli Austriaci che la tennero, ad eccezione della breve parentesi napoleonica, fino al Risorgimento

Santuario della Beata Vergine della Fontana

Costruito nella seconda metà del XV secolo sul luogo di una fonte ritenuta miracolosa. Lo stile della chiesa è prevalentemente gotico. Nella facciata tripartita spicca un ricco portale rinascimentale in cotto. L’abside centrale, poligonale, è molto sviluppato in altezza per la presenza del presbiterio sopraelevato e della cripta. La navata centrale, delimitata da pilastri poligonali, è coperta da una maestosa volta a botte di disegno classicheggiante, mentre le volte delle campate laterali sono a corciera. Numerosi gli affreschi conservati nel santuario, di epoca variabile dal XV secolo al XVII secolo: oltre all’immagine venerata della Madonna del latte, nella cripta, si ricordano il ciclo con le storie di Giovanna d’Arco e numerose immagini votive di Madonne. Pregevoli i paliotti policromi in scagliola degli altari (sec. XVII). Nella seconda cappella di sinistra è presente la stele funeraria del pittore Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, morto nel 1540 a Casalmaggiore, dove si era rifugiato da Parma perché perseguitato dalla giustizia. Secondo la tradizione il Parmigianino sarebbe morto in una cascina poco distante (una lapide commemorativa è presente lungo il Viale del Santuario).

Comune di Casteldidone

La prima volta che Casteldidone viene nominato nei documenti ufficiali risale all’anno 1010, quando la contessa Richilda, madre di Matilde di Canossa, compra delle “curtes” in “Castello Didoni”. Le curtes potevano indicare sia intere borgate, sia quartieri.Ma da notizie pervenute si presume che il Castrum Didonis esistesse almeno dal tempo del longobardo, Re Liutprando (712-744), data la vicinanza con l’insediamento arimanneo della Pieve di Rivarolo, del quale vi è testimonianza da una lapide sepolcrale, e dalla quale Casteldidone dipendeva per la parte religiosa. Quindi Casteldidone sarebbe sorto come “oppidum, ossia baluardo fortificato” abitato solo da militari, mentre la popolazione civile era ristretta in un borgo poco distante. Ciò che al tempo del Feudalesimo era il Castello.

Il MOT e il Vecchio Castello, Casteldidone

La descrizione circa la struttura dell’antico borgo fortificato di Casteldidone è emerso dal documento del 1309 citato dall’Astegiano:”borgo cinto da fossato con torre fortificata”. Proprietari: in parte di Schizzi Ruino e in parte di Schizzi Lanfranco e parte indivisa “di detto Castro o Castello”. Viene localizzato sul “mot” e rimangono solo tracce nella casa colonica “Cavalca e Sanguanini” (ex Bolzesi, ex Schizzi) e nella sedimentazione del sotto chiesa (cocci di tegole romane).

La chiesa di Casteldidone

La Chiesa di Casteldidone fu consacrata il 25 Ottobre del 1891 dall’allora Vescovo di Cremona Geremia Bonomelli in onore ai Santi Abdon e Sennen che sono i patroni del paese. Erano trascorsi cinquantacinque anni dal termine della sua costruzione. Essa sorge sull’area della vecchia chiesa che era costruita sopra una sedimentazione di rovine del vecchio Castello di Didone, una vera montagnola di detriti spianata alla buona.

Il Comune di Gussola

Il toponimo deriva dalla sua ubicazione in epoca remota: sembra, infatti, che anticamente esistesse una vasta area depressa, coperta da acque stagnanti, da cui sarebbero emerse solo poche terre e tra esse, appunto, quella occupata da Gussola, sulla quale trovarono posto i primi insediamenti di epoca romana, dei quali sono stati rinvenuti numerosi resti archeologici. Da qui il nome LACUSCULUM o LAGOXOLA, ‘piccolo lago’, la cui prima menzione risale ai primi decenni del XII secolo. Elevata al rango di presidio bizantino, per la sua posizione strategica, divenne arimannia quando il re longobardo Agilulfo si impadronì della vicina Cremona. Munita di ben due castelli, che ne accrebbero il ruolo strategico-militare, nel corso del ‘500, fu ceduta a Venezia, che la esonerò dal pagamento di tasse e tributi; fu conquistata dai Visconti, quindi, a seguito delle guerre fra Milano e Venezia, dai veneziani, per poi tornare ai milanesi e, dopo la discesa in Italia del re di Francia Luigi XII, nuovamente alla Serenissima. La parrocchiale, intitolata all’Annunciazione della Beata Vergine e risalente al XII secolo, villa Ferrari, villa Lodi e villa Bodini sono i monumenti più rappresentativi del patrimonio storico- artistico, accanto a palazzo Ala Ponzone, databile alla fine del XVIII secolo.

Il Comune di Martignana di Po

Già in epoca romana Martignana doveva rivestire una qualche importanza visti i numerosi riscontri archeologici che emergono dal suo territorio. Ma la prima notizia “ufficiale” che riguarda il paese risale all’anno 878: il villaggio “Martegnana” è citato in un contratto, che molti storici oggi ritengono non autentico, di permuta di beni stipulato tra Ansperto, arciprete della cattedrale di Cremona, e Rimivaldo, custode della chiesa di S. Giovanni Battista di Casalmaggiore. Al centro, per lungo tempo, delle dispute fra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, Martignana, insieme ai paesi limitrofi di Gussola e S. Giovanni in Croce, è assegnata nel 1484 al condottiero Giampietro Bergamino da parte di Gian Galeazzo Sforza. Nel XVII sec. il borgo casalasco viene affidato al capitano Alfonso Pimentel e quindi a Gian Giacomo Annoni. Il 21 dicembre 1862, raggiunta ormai l’unità d’Italia, il Comune assume la denominazione di “Martignana di Po”. L’economia su cui si regge il paese è prevalentemente agricola, anche se non mancano attività artigianali. Sul territorio comunale è presente, inoltre, una grossa industria di laterizi, prodotto caratteristico di questa zona. Inseguendo lo snodarsi dei numerosi percorsi di campagna è facile imbattersi in cascine, anche di considerevoli dimensioni, fra cui spicca la “Ca’ Nova”, un tempo addirittura frazione. Vi vivevano, allora, oltre un centinaio di persone, perlopiù braccianti che lavoravano la terra situata attorno all’abitato. La distanza dal capoluogo sollecitò i residenti ad erigere in loco un piccolo edificio religioso per le celebrazioni eucaristiche che venne intitolato a S. Giovanni Evangelista.

La Cappella di S. Stefano, Martignana di Po

Percorrendo la via che porta al Po ci si imbatte nella cappella di S. Serafino. Posta ai piedi dell’argine maestro, questa testimonianza sacra identifica la locazione originaria dell’antica chiesa parrocchiale, di cui, peraltro, non resta che un piccolo affresco trecentesco raffigurante
la “Madonna col Bambino”, ora esposto nella navata laterale dell’attuale chiesa parrocchiale di
S. Lucia. Quest’ultimo edificio venne eretto nel 1754 dopo che da secoli, ormai, il paese era arretrato in una zona più interna e sicura per sfuggire alla violenza delle “piene” del fiume. La facciata neoclassica è ornata da quattro lesene ioniche e dalle cornici mistilinee delle finte finestre. L’interno è a croce latina, in stile barocco, con tre cappelle per lato. Il transetto è a ornato alle sue estremità da due altari ed introduce ad un ampio presbiterio con altare e tarsie in marmo. All’interno della chiesa sono conservate tele di particolare valore artistico. Si tratta di opere di Giovanni Trotti, detto il Malosso, e di Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino, entrambi allievi di Bernardino Campi (XIV sec.). Accanto al corpo principale del fabbricato svetta l’imponente torre campanaria, alta ben 45 metri.

“La Bastia”, Martignana di Po

Giungendo a Martignana risulta difficile non restare impressionati dalle imponenti forme dell’austero ed antico palazzo della “Bastia”. In posizione decentrata rispetto al cuore del paese, questo edificio sembra svolgere il ruolo di sentinella. Ubicata laddove un tempo, forse, sorgeva una fortezza, la “Bastia” è una splendida dimora aristocratica, arredata con mobili di varie epoche, lampadari di Murano e Boemia, dipinti ed arazzi. Il suo nucleo centrale è adibito a residenza privata. L’ingresso è immerso in un parco dalla storia secolare mentre nel lato opposto è celato un incantevole giardino. Lateralmente al complesso si trova un piccolo oratorio privato dedicato alla “Natività della Beata Vergine”.

Comune di Motta Baluffi

Lungo l’argine maestro che segue il corso del Po, nella zona della provincia di Cremona tra il cremonese e il casalasco a venti chilometri dalla citta’ sono situati Motta Baluffi e la sua frazione Solarolo Monasterolo. Con 17.000 pertiche cremonesi di zona golenale le comunita’ tipicamente rivierasche vivono e snocciolano le loro case a poca distanza dal sempre amato e temuto grande fiume. Da non perdere l’Aquario del Po. Situato nella golena del comune di Motta Baluffi, a soli 300 m dalle sponde del fiume Po, offre ai visitatori una settantina di vasche espositive con tutte le specie del Po (sia autoctone che alloctone), alcune delle quali ormai rare. La visita rappresenta un percorso sotto la superficie del fiume partendo dalle zone collinari e dai fontanili fino ad arrivare alle acque lente della pianura. Tutte le vasche vanno osservate con attenzione, soprattutto quelle più piccole, che spesso svelano vite misteriose. L’acquario ci da la possibilità di conoscere un mondo nascosto e, diversamente dalle opere in un museo, è mutevole e ricco di vita, e va quindi osservato con calma e attenzione.

Comune di Scandolara Ravara

Scandolara Ravara è un piccolo paese che ha origini storiche molto lontane: probabilmente colonia romana o forse posto di guardia al Po che lambiva la “Chiesa Vecchia”. Proprio qui è stata trovata un’ara, cioè un altare pagano, su cui si sacrificavano piccoli animali. L’ara si trova ora presso il Museo Archeologico nel castello Sforzesco di Milano. Da questa prima notizia, che fa risalire la presenza di un piccolo nucleo abitativo romano (o almeno di soldati romani) risalente al 70a.C/70d.C, dobbiamo aspettare alcuni secoli per avere qualche altra informazione che ci consenta di affermare che il paese, o case sparse, esistevano nella zona. Purtroppo le inondazioni del Po, da quella più lontana citata da Tacito intorno alla fine del primo secolo, a quella del 1640, hanno profondamente modificato il territorio e, quindi, anche l’insediamento che, anche dopo il 1640, ruotava attorno alla Chiesa Vecchia. Il Po, nelle sue uscite alluvionali, formò i cosiddetti “bodri” alcuni dei quali esistevano già nel 1496, anno in cui il fiume inondò tutto il territorio di Scandolara Ravara.

Comune di Rivarolo del Re

Il malcontento e la vessazione delle popolazioni, sono da sempre all’origine di diatribe secolari, come quella che vide coinvolte alcune frazioni casalasche con il capoluogo sempre più avido di tasse e gabelle. Già dal 1600 il Pro sindaco con il consiglio generale di Casalmaggiore, adottavano una politica megalomane a beneficio esclusivo dell’abitato rivierasco, in costante miglioramento, trascurando nel modo più assoluto le “ville” (all’epoca 12) con i suoi abitanti costretti a vivere in veri e propri acquitrini dovuti alle imperterrite alluvioni del Po. La forbice tra la città e la campagna andava accentuandosi, favorendo in questo modo i comitati separatisti, che da allora cominciarono la loro attività in tutto il contado. Ma solo nel primo periodo, che va dal 1860 al 1905 le frazioni di Rivarolo del Re, Villanova, Brugnolo, Cappella e Camminata (queste ultime poi convinte a desistere) costituirono un comitato autonomista molto determinato, che coinvolgendo anche i nobili locali, vedeva uniti nell’intento tutti i ceti sociali. Cent’anni fa alla Camera dei Deputati in data 11 febbraio 1905 veniva discussa ed approvata la proposta di legge Marazzi, con 165 voti favorevoli e 46 contrari. Il 23 marzo la parola passava al Senato che la bocciava in pieno con 57 voti contrari e soli 19 favorevoli. La protesta dei Rivarolesi non si fece attendere ed il 24 marzo devastavano il locale edificio scolastico incendiando porte, cattedre e banchi scolastici. Per ristabilire l’ordine il sottoprefetto di Casalmaggiore cav. Mazzaroli inviava venti carabinieri e una compagnia del 56° fanteria di stanza a Cremona, che si trattennero in paese per circa un mese. Nel secondo periodo che va dal 1906 al 1915 vengono inviati, da parte del comitato separatista, svariati memoriali a stampa per illustrare a diversi parlamentari delle due Camere le buone ragioni delle frazioni e alcune autorità di Casalmaggiore sono coinvolte in vicende grottesche e poco edificanti, pur di vedere i propositi scissionisti finire miseramente. Il comitato separatista era composto prevalentemente dai capi famiglia, tra i quali possiamo citarne alcuni come Marchini Luigi, Bottoli Giovanni, Bottoli Patrizio, Longari Ponzone dott. Antonio Longari Ponzone avv. Ippolito e Tentolini Evangelista senza dimenticare alcune rappresentanti del gentil sesso come la prof. Dirce Pezzali autrice tra l’altro di varie canzoni separatiste. Finalmente il 26 marzo 1915 il Senato, dopo la Camera dei Deputati con 98 voti favorevoli e 20 contrari approva la legge proposta dall’onorevole Pistoia. L’Italia vedeva nascere un nuovo comune, quello di Rivarolo del Re ed Uniti.

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Comune di San Daniele Po

Terra feudale, la sua storia inizia attorno all’anno 1000 quando i frati benedettini del Monastero di Parma effettuarono numerose bonifiche al territorio. In questo periodo si instaurò nel luogo una nobile famiglia, i Sommi provenienti da Cremona, in continua corrispondenza con il vescovo della diocesi di Cremona, Ubaldo I e il Papa Niccolò II (1059-1061). I Sommi si erano stanziati sulle rive del fiume, dando origine a una frazione di San Daniele, Sommo con Porto, il cui nome rimane l’unica eredità di questa famiglia. A Capo di questa dinastia c’era Enrico Sommi, che ha costruito la propria ricchezza grazie all’agricoltura, e trasferitosi a San Daniele poiché c’era terra fertile. Questa dinastia regnò a nel Paese fino al 1647, quando le truppe Gallo-Estense, saccheggiarono Cremona e stroncarono per sempre questa nobile Famiglia. Il vero sviluppo urbanistico del paese avviene attorno al 1800, sotto il controllo del Ducato di Parma. In quegli anni San Daniele inizia a prendere forma e a sviluppare la propria ossatura; il centro del paese era via Cantone (chiamata ancora così), composta da circa 10 cascine e circa 100 abitanti. Gli anni d’oro li abbiamo nel periodo che va dal 1850 a 1900, quando nel paese nasce la prima fabbrica, importante perché “l’Acetificio Galletti” è il più antico d’Italia(1871).

Comune di Spineda

“Spineda campo di sangue”, così si chiamava il paese. Infatti, la particolare linea di confine e’ il risultato chiarissimo delle lotte secolari che si sono svolte tanti anni fa, lotte nelle quali Spineda e’ sempre stata teatro di scontri armati violentissimi e sanguinosi. Questo fatto viene evidenziato ulteriormente, se si osserva la carta topografica. La forma del comune appare infatti simile ad un cuneo piantato nel territorio della provincia di Mantova, visto che e’ confinante per tre parti con i comuni mantovani di Commessaggio, Cividale di Rivarolo Mantovano e S. Martino dall’Argine.

Chiesa di S. Salvatore, Spineda

Molto probabilmente furono i monaci benedettini di Leno (BS) a fondare a Spineda la prima chiesa dedicata al Santo Salvatore, come dimostra una bolla pontificia di Gregorio VII (17 agosto 1177) nella quale tra i luoghi dipendenti da Leno era citata anche Spineda. Non e’ dato sapere notizie anteriori a questo periodo; infatti il documento piu’ antico contenuto nel nostro archivio parrocchiale e’ il primo registro dei nati e battezzati incominciato nel 1564 dall’allora parroco di Spineda don Gaspare Malfatto. Mantenuti l’attuale Coro e Presbiterio risalenti al 1816, nel 1837 su progetto dell’architetto sabbionetano Carlo Domenico Visioli, inizio’ la costruzione dell’attuale chiesa, la quale fu rapidamente portata a termine in circa 6 anni (1843). Il complesso chiesastico ha una lunghezza di circa 30 metri e una larghezza di circa 20, mentre l’altezza in gronda del corpo piu’ alto e’ di circa 21 metri. La chiesa e’ dotata di una torre campanaria in stile romanico a pianta quadrata con cupola affusolata e tiburio a forma ottagonale, la cui altezza e’ di circa 31 metri. La nostra Chiesa che ricorda in piccolo il Duomo di Casalmaggiore dell’architetto Zuccari e’ rimasta inalterata nell’organismo strutturale come nell’apparato decorativo interno. E’ di stile neoclassico a croce greca con cupola e cupoletta con l’aggiunta del presbiterio ed e’ spaziosa e ben formata nelle sue parti. L’altare maggiore e le balaustre di marmo policromo sono le opere di maggior pregio e rilievo. Vi sono ancora due altari laterali con nicchie e statue senza sfondo ma poggiati al muro, con colonne e pareti a stucco. Vi si ammirano quadri di discreto valore quali: il Battesimo, la Nativita’, la Resurrezione di Gesu’, i Misteri del Santo Rosario, la Trasfigurazione e una pregiata Via Crucis.

Palazzo Cavalcabò, Spineda

Questa dimora e’ ricordata agli albori del XV secolo come dimora dei marchesi Cavalcabo’, signori di Viadana. Corrado Cavalcabo’ fu investito della signoria di Viadana con un Diploma datato 30 luglio 1158 dall’Imperatore Federico I. Uno dei primi documenti che parla dei Cavalcabo’ riguarda la donazione fatta da Corrado al Monastero di S. Maria di Chiaravalle del Carretto, anno 1136, di tutto cio’ che possedeva nel predetto luogo. La signoria di Viadana viene tolta ai Cavalcabo’ dai Gonzaga verso il 1415; si giunge ad una transazione in cui i signori di Mantova si impegnano a versare, ai Cavalcabo’, 7000 ducati d’oro da pagarsi in rate di 400 ducati l’anno, come risarcimento
dei terreni usurpati. Debito onorato dai Gonzaga solo in minima parte. Agostino IV Cavalcabo’, nato a Spineda il 17 agosto 1716, fu giureconsulto patrizio di Cremona e Regio delegato dalle poste di questa citta’. Fu costui che inizio’ l’ampliamento della dimora dandole la forma attuale (1790 circa), dotandola nel retro di un recinto detto brolo, con frutti, pergolati e ortaggi trasformato successivamente in parco (1848). La di lui moglie, donna Teopista Annoni, ne continuo’ l’opera alla sua morte (1796) innalzando l’arco d’ingresso su disegno dell’architetto Luigi Voghera. E’ giusto ricordare che Agostino VI, nato a Cremona nel 1893, combatte’ la prima guerra mondiale col grado di Capitano e che venne insignito di due medaglie di bronzo al valor militare. Il fratello Alessandro, nato a Spineda nel 1896, cadde sul campo Nova Vas nel 1917 e alla sua memoria fu decretata la medaglia d’argento al valore militare. Nel 1957 ad Agostino VI fu conferita la medaglia d’argento per i benemeriti della cultura e dell’arte. Morì a Cremona il 12 marzo 1960.

Piazza Padre Pacifico Fellini, Spineda

La piazza, che fornisce un importante spazio pubblico alla cittadinanza, valorizzando la stessa artistica chiesa di San Salvatore, sorge in luogo di una storica ortaglia circondata da una muraglia ben visibile nelle fotografie antiche, nota come “ad Giarolum”. L’area era stata successivamente dismessa e trasformata in campo sportivo con la realizzazione di frequentatissimi tornei di calcio. La realizzazione della Piazza pubblica e’ stata effettuata dalla civica amministrazione nel 1989, ad opera della Ditta appaltatrice S.B.M. di Spineda, tramite
C.A.E.C. di Cremona, progettazione Geom. Amadio Balestreri.

Comune di Torricella del Pizzo

Il nome si riferisce alla sua posizione strategica sul fiume: il primo nucleo del paese sorse, alla fine del 1300, come luogo di avvistamento fornito di una piccola torre, su di un isolone del Po (pizzo) saldatosi in seguito alla terraferma. Sono di probabile origine etrusca gli argini che si scorgono dalla strada proveniente dal vicino centro di Motta Baluffi. Anticamente la zona era interamente ricoperta dalla palude creata dalle periodiche inondazioni del fiume, il cui letto scorreva più a nord rispetto all’attuale percorso, lambendo il borgo. Pur avendo tentato per secoli la popolazione di arginare le devastanti piene, nel 1523 la regione rimase vittima di una rovinosa inondazione del Po che, rompendo gli argini nella località di Gussola, abbandonò l’antico alveo. Esistono pochi riferimenti storici riguardanti-CR-LC-LO-MN la località, per via della confusione generata da un’omonimia con un vicino centro parmense; si sa per certo che fino al Congresso di Vienna, tenutosi nel 1815, fu sotto la giurisdizione del ducato di Parma. Nel novero dei monumenti che testimoniano il passato figura la chiesa parrocchiale di San Nicola, la cui posizione è decentrata rispetto al centro abitato per proteggerla dalle frequenti inondazioni. Dalla struttura alquanto lineare, presenta una facciata ad arco arricchita da nicchie e loculi, mentre l’interno è a navata unica sulla quale si affacciano piccole cappelle laterali. L’architettura civile conta una torre quattrocentesca e una cascina fortificata, della fine del ‘700, cui sono state sovrapposte aggiunte di stampo romantico.

Comune di Cingia dè Botti

Cingia de’ Botti, comune della provincia di Cremona, sorge lungo la napoleonica strada Giuseppina che collega Cremona a Casalmaggiore, all’incirca a pari distanza tra i due centri, in una zona agricola della pianura lombarda a sinistra del Po. Il comune conta attualmente 1229